Disturbo da disconnessione affettiva: l’incapacità di legarsi in un mondo iperconnesso

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Scritto da Redazione Freud
Pubblicato il 16/04/2025 in Blog

Siamo sempre connessi.
Ma sempre più soli.
Scrolliamo volti, cuori, parole… ma quando qualcuno ci tocca davvero, ci blocchiamo.
Ci hanno insegnato ad avere tutto a portata di mano.
Tranne l’intimità.

L’illusione del legame

Viviamo in un’epoca che parla continuamente di relazioni.
Ma dove, in realtà, il legame è diventato un concetto volatile, opzionale, perfino scomodo.
Parliamo, messaggiamo, facciamo matching.
Ma quando si tratta di restare, di aprirsi, di lasciarsi vedere…
Scappiamo.
Oppure diventiamo freddi. Disconnessi. Invisibili.

Il disturbo da disconnessione affettiva non è ancora formalizzato nei manuali diagnostici, ma è reale, diffusissimo e profondamente invalidante.
È la difficoltà, sempre più comune, nel creare e mantenere legami affettivi autentici, pur desiderandoli intensamente.

Connettersi ci spaventa. Disconnettersi ci anestetizza.

Le persone che soffrono di disconnessione affettiva non sono indifferenti all’amore.
Al contrario: lo desiderano disperatamente.
Ma qualcosa si inceppa quando l’altro si avvicina davvero.

  • Quando qualcuno è distante, sono pieni di attenzioni.

  • Quando l’altro risponde, si ritraggono.

  • Quando iniziano a fidarsi, scatta un’allerta.

  • Quando tutto sembra funzionare, sabotano.

È un pattern relazionale che alterna idealizzazione e ritiro.
Un tira e molla emotivo che stanca, svuota, confonde.
E spesso si trasforma in relazioni-lampo, amori interrotti, legami superficiali o instabili.

Una nuova ferita del nostro tempo

Non è una colpa. È una ferita.
E come molte ferite, ha radici profonde e nuove cause culturali.

Da un lato: traumi relazionali precoci, esperienze di abbandono, genitori imprevedibili o emotivamente assenti.
Dall’altro: la cultura dell’iperconnessione digitale che ha trasformato l’altro in un oggetto da consumare, scegliere, scartare.
Una vetrina infinita in cui l’intimità è un rischio da evitare e la vulnerabilità… una minaccia da nascondere.

Secondo Bauman (2003), viviamo in una società liquida, in cui i legami si formano e si disfano con la stessa facilità con cui scorriamo un feed【1】.

Come si manifesta la disconnessione affettiva

Non ha un’unica faccia. A volte si manifesta in modo passivo, altre in forma attiva e caotica.
Ecco alcuni segnali ricorrenti:

  • Difficoltà a fidarsi anche in relazioni sicure.

  • Evitamento dell’intimità fisica o emotiva.

  • Senso di noia o irritazione quando la relazione diventa stabile.

  • Tendenza a idealizzare partner irraggiungibili o non disponibili.

  • Frequenti relazioni brevi e intense, poi improvvisamente interrotte.

  • Bisogno compulsivo di flirtare senza impegnarsi.

  • Uso eccessivo dei social e delle dating app come surrogati affettivi.

Chi ne soffre non è freddo. È spaventato.
Il problema non è che non sente. È che non sa cosa farne, di quello che sente.

Dalla connessione digitale alla disconnessione reale

Le piattaforme digitali ci offrono connessioni illimitate e superficiali.
L’altro diventa una notifica, un like, una chat da chiudere quando ci stanca.
Il rischio?
Che la mente impari a disconnettersi anche nella vita reale.

Una ricerca recente ha evidenziato che l’uso massiccio dei social è correlato a una diminuzione della capacità empatica e dell’attivazione dei circuiti neurali legati alla lettura delle emozioni facciali【2】.

In altre parole: più siamo online, meno ci leggiamo davvero.

Attaccamento evitante: il cuore sotto vuoto

Molte persone con disconnessione affettiva hanno sviluppato uno stile di attaccamento evitante.
Non è una scelta. È una strategia di sopravvivenza.

Hanno imparato che l’amore fa male.
Che l’intimità è instabile.
Che aprirsi è pericoloso.

E quindi oggi si proteggono con il controllo, con l’ironia, con la distanza.
Ma dentro c’è un vuoto che nessun like può riempire.

Perché non basta “trovare la persona giusta”

La disconnessione affettiva non si risolve con l’incontro di un partner “migliore”.
Perché il problema non è l’altro.
È il rapporto con la vicinanza, con l’intimità, con l’identità relazionale.

Fino a quando non si scioglie quel nodo interno, ogni relazione diventa il teatro di una fuga.
E la vera paura non è essere abbandonati.
È essere visti per davvero.

Si può guarire dalla disconnessione?

Sì.
Ma non si fa da soli.
E non si fa in fretta.

Serve un lavoro profondo, graduale, relazionale.
Serve una terapia che ti aiuti a riscoprire la fiducia, a tollerare l’intimità, a sentire le emozioni senza giudicarle.

Il primo passo? Riconoscere che il disagio non è “esagerato”, “strano” o “sbagliato”.
È una difesa che ha funzionato. Ma che ora ti sta tagliando fuori da ciò che desideri.

Smettere di scappare è un atto di amore verso di te

Non devi diventare appiccicoso. Non devi “scioglierti” subito.
Devi solo smettere di negarti il diritto di creare legami autentici.
Quelli che fanno paura, sì.
Ma che ti fanno sentire vivo.

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Riferimenti bibliografici

  1. Bauman, Z. (2003). Liquid Love: On the Frailty of Human Bonds. Polity Press.

  2. Meshi, D., Tamir, D. I., & Heekeren, H. R. (2015). The Emerging Neuroscience of Social Media. Trends in Cognitive Sciences, 19(12), 771–782. https://doi.org/10.1016/j.tics.2015.09.004