Ansia sociale post-pandemia: l’abisso del “preferisco non uscire”

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Scritto da Redazione Freud
Pubblicato il 14/04/2025 in Blog

C’è una nuova epidemia silenziosa.
Non si vede. Non si dice. Non si tocca.
È fatta di inviti declinati, chiamate ignorate, silenzi che nessuno sa più rompere.

Una scusa dopo l’altra (ma non è una scusa)

“Stasera salto.”
“Mi sento un po’ stanco.”
“Ho bisogno di stare un po’ da solo.”

Frasi che sembrano normali. Frasi che forse hai detto anche tu.
E magari erano vere. O magari erano un modo elegante per dire la verità che fa paura:
uscire mi mette a disagio. Le persone mi mettono a disagio. Non so più stare in mezzo agli altri.

Da fuori sei solo “introverso”.
Da dentro, è come vivere con un allarme costante nel petto ogni volta che devi interagire.
Non è pigrizia. Non è svogliatezza.
È ansia sociale. E dopo la pandemia, ha cambiato faccia.

Non siamo più tornati “come prima”. E forse non dovremmo.

Durante il lockdown, tutti dicevano: “Non vedo l’ora di tornare alla normalità.”
Poi la normalità è tornata, e molti hanno fatto finta di essere pronti.
Ma dentro qualcosa era cambiato.
Chi prima amava i gruppi ora li evita.
Chi era estroverso si è ritirato.
Chi già faticava nei contesti sociali, ora li teme.

Non si tratta solo di abitudine persa.
È un cambiamento strutturale nel nostro modo di relazionarci.
Abbiamo imparato a vivere in isolamento, e ora tornare a connetterci ci spaventa.
È come se il mondo fosse diventato troppo veloce, troppo vicino, troppo esposto.
E noi… troppo fragili per reggerlo.

Cos’è davvero l’ansia sociale?

L’ansia sociale è una forma di disagio psicologico che si attiva in situazioni interpersonali, in particolare quando si teme il giudizio degli altri.
Non si tratta di semplice timidezza.
È una tensione costante, una paura anticipatoria, un’iperattenzione a tutto ciò che potrebbe andare storto in una conversazione, in uno sguardo, in un gesto.

Sintomi tipici:

  • Sudorazione, tachicardia, nausea prima di un incontro sociale.

  • Evitamento di contesti come cene, eventi, riunioni.

  • Pensieri intrusivi tipo: “Farò una figuraccia”, “Non ho niente da dire”, “Mi stanno giudicando”.

  • Dopo l’incontro: rimuginio, autocolpevolizzazione, vergogna.

E la variante post-pandemica? Più silenziosa, più subdola.

Dopo la pandemia, questa forma d’ansia è diventata più diffusa ma anche più invisibile.
Perché è stata normalizzata.
Perché lo smart working, la didattica a distanza, le consegne a domicilio… hanno creato un mondo in cui non è più necessario uscire.
E così, evitare le interazioni non è più un problema evidente: è un’abitudine socialmente accettata.

Il problema?
Che la mente si adatta. E si atrofizza.
Più eviti, più confermi a te stesso che “lì fuori” è pericoloso.
Più resti nella tua zona di comfort, più diventa una prigione.

Chi ne soffre non è sempre quello che ti aspetti

L’ansia sociale post-pandemia non colpisce solo i solitari o gli introversi.
Anzi, spesso colpisce proprio chi prima era molto sociale.
Perché il trauma del distacco, la perdita di ritmo relazionale, l’esposizione mediatica al rischio del “contatto”, ha riscritto inconsapevolmente le mappe del nostro cervello sociale.

Colpisce:

  • Studenti che hanno perso due anni di esperienze formative fondamentali.

  • Neogenitori che si sono isolati nei primi anni con un figlio.

  • Manager e professionisti che ora non vogliono più parlare in pubblico.

  • Adolescenti che si sono abituati a vivere solo attraverso uno schermo.

Il corpo non mente (anche quando la mente minimizza)

Spesso chi vive questa forma di ansia nega di avere un problema.
“Sto bene, preferisco stare a casa.”
“Non mi serve uscire, ho tutto qui.”
Ma poi arriva il corpo a smentirti:

  • Il battito accelera prima di una videochiamata.

  • Ti senti svuotato dopo una chiacchierata innocua.

  • Il pensiero di un’uscita ti manda in tilt giorni prima.

  • Ogni interazione richiede uno sforzo sproporzionato.

Non sei debole. Stai reagendo a un trauma collettivo. Ma non puoi far finta di niente.

Perché affrontarla (e non conviverci per sempre)

Il rischio più grande è la cronicizzazione.
Chi evita oggi, eviterà anche domani.
E il domani, con il tempo, diventa un domani sempre più piccolo, sempre più solitario.

L’ansia sociale non curata può portare a:

  • Depressione.

  • Burnout relazionale.

  • Solitudine patologica.

  • Dipendenze (alcol, cibo, videogiochi, pornografia).

  • Agorafobia.

  • Autostima azzerata.

E soprattutto, ti toglie una cosa fondamentale: la gioia di appartenere.
Perché siamo animali sociali.
Anche se la paura ci convince del contrario.

Cosa fare se ti riconosci in questo abisso silenzioso

  1. Smetti di minimizzare
    Il disagio non ha bisogno di un certificato medico per esistere.
    Se ti senti in difficoltà, lo sei. E meriti attenzione.

  2. Parlane con qualcuno
    La vergogna si nutre di silenzio. Raccontare come ti senti — a un amico, un terapeuta, anche solo scrivendolo — è il primo atto di coraggio.

  3. Esponiti gradualmente
    Non serve buttarsi in mezzo a un evento da 50 persone.
    Bastano piccoli passi: una telefonata, una passeggiata con un amico, un caffè in un luogo affollato.
    Più lo fai, più il tuo cervello impara che può sopravvivere.

  4. Valuta un percorso terapeutico
    La psicoterapia non ti “cura” come se fossi rotto.
    Ti aiuta a capire cosa si è bloccato, quando, e come puoi scioglierlo.

Non devi tornare quello di prima. Puoi diventare qualcosa di nuovo.

Molti si colpevolizzano per essere cambiati.
Perché prima erano più socievoli, più spontanei, più aperti.
Ma non devi forzarti a tornare quello che eri.
Devi darti il permesso di diventare quello che ti serve ora.

Uscire dall’ansia sociale post-pandemica non significa tornare a fare tutto.
Significa riconquistare libertà.
La libertà di scegliere se uscire… senza che la paura scelga per te.

Chiudersi non è sicurezza. È anestesia.

Non sei nato per nasconderti.
Non sei nato per vivere dietro uno schermo.
Se dentro di te senti che stai perdendo qualcosa, non aspettare che diventi irreversibile.

Non c’è niente di sbagliato in te.
Hai solo bisogno di tempo, strumenti e qualcuno che ti accompagni.
Non per tornare alla “vita di prima”.
Ma per costruirne una che ti somigli davvero.

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