Anedonia relazionale: il piacere perduto nei rapporti umani


Sei lì, ma non ti tocca.
Ti scrivono, ma non ti smuove.
Ti amano, ma non ti basta.
Non sei vuoto. Sei scollegato.
L’anedonia relazionale non ti fa soffrire rumorosamente.
Ti fa vivere in muto.
Il silenzio dentro la connessione
Hai relazioni, incontri, messaggi, storie, contatti.
Ma qualcosa si è spento.
Non c’è più piacere. Né eccitazione. Né attesa.
Solo una presenza emotiva opaca, distante, indifferente.
L’anedonia relazionale è la perdita di piacere, calore o coinvolgimento nei rapporti con gli altri, anche quando sono presenti, affettuosi, interessanti.
Non è depressione classica.
Non è ansia.
È come se le connessioni avessero smesso di produrre corrente.
E tu continuassi a inserire spine in prese spente.
Non è che non senti. È che non arriva.
L’anedonia relazionale può colpire chiunque.
Spesso dopo un trauma, una delusione profonda, un periodo di stress cronico.
Oppure, più silenziosamente, dopo anni di iperconnessione, saturazione, esposizione continua a stimoli relazionali finti o superficiali.
Secondo Treadway e Zald (2011), l’anedonia è legata a un’alterazione dei circuiti cerebrali dopaminergici legati alla ricompensa【1】.
Quando questi sistemi si “spengono”, non proviamo più anticipazione positiva.
Tradotto: anche se razionalmente sai che vedere quella persona dovrebbe farti piacere… non lo senti.
Segnali dell’anedonia relazionale
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Ti annoi facilmente in compagnia.
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Senti un distacco emotivo anche con le persone più vicine.
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Non provi più eccitazione, tenerezza, gioia nei legami affettivi.
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Ti sembra che tutti siano “troppo”, “lontani”, “falsi” o “invadenti”.
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Preferisci la solitudine, ma nemmeno quella ti fa stare bene.
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Vivi i messaggi, gli inviti, le attenzioni… come cose da gestire, non da godere.
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Ti senti spento anche se “non manca niente”.
Il rischio: confonderla con freddezza o apatia
Molti confondono l’anedonia relazionale con la timidezza, il carattere introverso o il cinismo.
Altri se ne vergognano. Pensano: “Forse sono diventato insensibile.”
Ma l’anedonia non è una colpa, né un difetto.
È un segnale.
Un segnale che la tua mente e il tuo corpo si stanno proteggendo da qualcosa.
Cosa c’è sotto? (Spoiler: non è pigrizia)
Spesso, l’anedonia relazionale è una risposta a:
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Esaurimento empatico (aver dato troppo senza ricevere).
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Esperienze ripetute di rifiuto o delusione.
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Stili di attaccamento insicuro, in particolare evitante.
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Saturazione digitale: troppe relazioni superficiali, nessuna profonda.
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Burnout emotivo: relazioni gestite come compiti.
Secondo una recente review neuroscientifica (Der-Avakian & Markou, 2012), esistono diverse forme di anedonia, tra cui quella sociale, che implica una ridotta capacità di provare piacere nelle interazioni【2】.
Il paradosso: desiderare il contatto, ma non sentirlo
L’anedonia relazionale è crudele perché non annulla il desiderio.
Desideri l’amore, la presenza, il calore.
Ma quando arrivano, ti lasciano freddo.
E allora ti senti rotto.
Come se fossi l’unico incapace di godersi la vita.
Ma non sei rotto.
Sei in stand-by.
Una parte di te si è scollegata per proteggerti.
E ora aspetta un contesto sicuro per riattivarsi.
Smettere di fingere che vada tutto bene
Chi vive questa forma di distacco tende a nasconderlo.
A dire “va tutto bene”, mentre sente che nulla arriva davvero.
Ma fingere peggiora il sintomo.
Perché ti separa ancora di più da ciò che provi.
Il primo passo è dare un nome a questa sensazione.
Dirsi: “Non provo più piacere nelle relazioni. E non so perché.”
Questa frase è rivoluzionaria.
Perché è il primo atto di contatto autentico con te stesso.
Si può uscire dall’anedonia relazionale?
Sì. Ma serve tempo.
Serve uno spazio relazionale in cui non devi performare.
In cui puoi esplorare il tuo distacco senza essere giudicato.
Serve una terapia che ti accompagni a riconnettere ciò che si è scollegato.
Non si tratta di “ritornare come prima”.
Ma di scoprire un nuovo modo di essere con gli altri, più autentico, più sentito, più vero.
Non c’è niente di sbagliato in te. Solo qualcosa che ha bisogno di essere riacceso.
Il cuore non è rotto.
È solo stanco.
E anche se oggi ti sembra di non sentire più niente…
Quel vuoto, un giorno, può tornare a vibrare.
Ma per farlo, serve smettere di ignorarlo.
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Riferimenti bibliografici
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Treadway, M. T., & Zald, D. H. (2011). Reconsidering anhedonia in depression: Lessons from translational neuroscience. Neuroscience & Biobehavioral Reviews, 35(3), 537–555. https://doi.org/10.1016/j.neubiorev.2010.06.006
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Der-Avakian, A., & Markou, A. (2012). The neurobiology of anhedonia and other reward-related deficits. Trends in Neurosciences, 35(1), 68–77. https://doi.org/10.1016/j.tins.2011.11.005